È iniziato un nuovo anno scolastico, pieno di dubbi e incertezze, dove ancora i docenti saranno chiamati ad inventare nuovi modi per fare docenza. E se fosse questa l’occasione per cambiare (per sempre) il modo di pensare la scuola, ricordandosi di mettere al centro, finalmente, il motivo per cui esiste: i ragazzi?
Se si utilizzassero consapevolmente e strutturalmente le vere potenzialità della didattica a distanza?

La mia visione dell’insegnamento è cambiata 16 anni fa, quando mi fu chiesto di progettare e realizzare il mio primo corso universitario interamente online di economia politica per l’Università Guglielmo Marconi. Ero abituato all’aula, alle sue dinamiche, all’interazione ed al coinvolgimento continuo degli studenti, gestendo la relazione con loro, anche solo con il contatto visivo. Come usare (unicamente) lo strumento telematico ed ottenere lo stesso risultato? Peraltro con una tecnologia ancora agli albori, rispetto ad oggi. Da allora è iniziata per me una lunga riflessione sull’educazione in generale, intorno alla domanda “Come si insegna nel mondo 4.0”? Questo mi ha portato (per ora) a tre convinzioni: 1.l’insegnamento non esiste, 2.la docenza a distanza è un grande valore (solo) se si sa come usarla, 3.la scuola va completamente ripensata.

1. L’insegnamento, in sé, non esiste perché se io parlo a un gruppo di persone in un’aula, sto semplicemente parlando; per definirlo insegnamento occorre che qualcuno stia apprendendo. Allora non ha senso chiedersi come bisogna insegnare, lo ha molto di più capire come gli altri apprendono. Ma anche qui, il fatto è che siamo tutti diversi e tutti apprendiamo in modo peculiare. Per cui se io insegno in un modo solo, sicuramente non sto insegnando a tutti. Anche questa non dovrebbe essere una considerazione troppo stravolgente: abbiamo oggi conoscenze approfondite su come funziona la mente umana e le utilizziamo in modo continuo e consapevole in politica, nel marketing, nella comunicazione. Ma poco, raramente ed in modo spesso improvvisato nel mondo dell’istruzione.

Peraltro l’apprendimento è connaturato in noi, è una nostra funzione naturale, non va insegnato. Un giardiniere non spiega ad una pianta come crescere, ma cerca di capire come metterla nelle condizioni migliori perché si sviluppi. Non si arrende se quello che fa non funziona (e non dovrebbe dare la colpa alla pianta), ma prova altre strade e la sua soddisfazione è nel vedere i frutti del suo lavoro.

2. La formazione a distanza offre multicanalità, versatilità, grande disponibilità di contenuti e di strumenti, così da poter potenzialmente raggiungere una amplissima varietà di stili apprendimento. Ma va appunto pensata (e progettata) così, in ottica multidimensionale, tenendo sempre presente il valore per i suoi destinatari, favorendo la personalizzazione dell’apprendimento e lo sviluppo della curiosità, del gioco, della passione. Sfruttando, insieme, la fase asincrona della fruizione dei contenuti (ognuno con strumenti e tempi specifici) ed il momento collettivo del confronto, dell’aiuto, della condivisione delle aule virtuali. Poi, accanto a questo, occorre recuperare la dimensione motivazionale della formazione, basata sulla relazione personale (uno a uno) ed è qui che il docente fa veramente la differenza, specie in un mondo in cui i contenuti sono molti, diffusi e di qualità, il difficile è trovarli, riconoscerli criticamente, utilizzarli. 

3. E questo ci porta al terzo punto: la scuola va completamente ripensata. Credo che ci sia bisogno di un progetto didattico innovativo, capace di mettere ogni ragazzo al centro del modello educativo, che gli consenta di riconoscere e sviluppare al massimo il proprio talento e le proprie aspirazioni, in un clima di coinvolgimento e passione. Un piano didattico ispirato all’autonomia, allo sviluppo dei propri talenti, alla creatività, al pensiero laterale, alla consapevolezza, alla serenità, alla fiducia in sé stessi, all’inclusività, al riconoscimento e alla valorizzazione della specialità di ogni ragazzo, nel momento più importante della sua crescita e formazione, per prepararlo al meglio al mondo che cambia. Una scuola aperta al mondo, alle imprese, alla tecnologia, al futuro. Il punto di partenza da cui ricostruire la competitività e il valore del nostro sistema economico e sociale.

La domanda delle domande è, allora: a cosa serve la scuola? Sicuramente, ognuno darà la sua risposta. La mia, prosaica e pragmatica, è che la formazione dovrebbe avere almeno tre principali finalità nella vita dei ragazzi:

  • Futura indipendenza economica: consentire loro di trovare un lavoro che valorizzi i talenti i e gli permetta di vivere serenamente la propria vita; contemporaneamente assicurando al sistema produttivo in cui sono inseriti l’eccellenza e la creatività necessaria per acquisire nuova competitività. Questo significa avere anche la capacità di leggere criticamente il mondo, comprenderne il cambiamento, senza averne paura, soprattutto in un mondo (anche del lavoro) in continua trasformazione, in cui il concetto stesso di mestiere è forse da considerarsi superato (almeno pensando al lungo periodo);
  • Socialità: diventare cittadini attivi ed empatici, conoscere e apprezzare la propria cultura, comprendere e rispettare quella degli altri. Questo significa anche saper operare in gruppo, facilitare lo sviluppo dell’apprendimento collettivo, avere un approccio orientato al successo di squadra come strumento per perseguire quello individuale. Significa riconoscere la propria individualità come preziosa in sé e nell’ambito dei processi sociali.
  • Equilibrio personale: sapersi relazionarsi con il proprio mondo interiore ed esteriore, curare la propria personale ricerca psicologica e spirituale. Qui il ragazzo trova anche la forza e la serenità per non aver paura di sperimentare, cambiare, evolvere, tentare.

Lo scopo essenziale dell’istruzione è dunque preparare i giovani alla propria vita, aiutarli a sviluppare le risorse mentali, emozionali, sociali e strategiche per affrontare positivamente le sfide e fronteggiare efficacemente l’incertezza e la complessità. Questo implica aiutarli a scoprire le cose in cui vorrebbero eccellere e rafforzare la loro volontà e la loro capacità di apprenderle, essere al loro fianco in quello che possono e vogliono diventare. L’istruzione deve sviluppare sicurezza di sé, competenza e passione, aiutando tutti a potenziare la propria specifica intelligenza. Questo significa che l’istruzione è soprattutto relazione, curiosità, motivazione.

È la sfida di chiunque voglia essere un docente: trovare il linguaggio più coinvolgente per attivare questa splendida energia. Costruendo un rapporto personale con ciascuno. La tecnologia è potenzialmente un grande strumento (perché moltiplica i mezzi per raggiungere i canali di apprendimento), ma alla fine è la dimensione umana a fare la differenza.

D’altronde è iniziato un nuovo anno scolastico, tra dubbi e incertezze: cosa c’è di meglio per sperimentare con creatività e coinvolgimento e per prepararsi ad un mondo fatto di cambiamenti, opportunità e complessità? In bocca al lupo a tutti.

Originariamente pubblicato su Linkedin

Condividi su