Un’immagine da sola sa parlare, fa riflettere, è come un’onda: travolge la superficie con l’impeto intenso che giunge dalla profondità. Ed è proprio quello che ha fatto Andrea Taloni che, leggendo (In)Coscienza Digitale, ha realizzato questa immagine ispirata alla famosa partita a scacchi con la Morte del Settimo Sigillo di Bergman. 

Michele Petrocelli

Il dramma esistenziale evocato da quella scena è il medesimo che oggi ritroviamo nel confronto, faccia a faccia, con la rivoluzione digitale, capace di impattare ogni momento della nostra vita. Siamo chiamati a prendere coscienza di un contesto nuovo caratterizzato dal processo di digitalizzazione e dallo sviluppo rapidissimo dell’intelligenza artificiale. Un contesto nel quale l’impulso tecnologico cambia profondamente gli esseri umani e il modo di pensare. È un faccia a faccia con sé stessi, alla fine.

È l’essenza della “rivoluzione digitale”. Il rapporto con essa è essenziale e riguarda, quindi, ognuno di noi. (In)Coscienza Digitale nasce come lavoro divulgativo proprio per questo, perchè si tratta di un tema che ci tocca da vicino, ci riguarda come persone, come cittadini che vivono all’interno di un contesto democratico, come lavoratori, educatori, genitori, professionisti.

I dati

Quando ha inizio la rivoluzione digitale? Come tutte le ere, la data di inizio è sempre simbolica. Gli autori ne propongono diverse. A me piace l’idea di Erik Brynjolfsson che la fa risalire proprio ad una partita a scacchi. È il 10 febbraio 1996, il campione Garry Kasparov, considerato come uno degli scacchisti più forti di tutti i tempi, viene sconfitto dal computer Deep Blue, di IBM: è la prima volta che una macchina risulta superiore in qualcosa che, fino a quel punto, era ritenuta prerogativa esclusiva dell’intelligenza umana.

Ma c’è una seconda partita, più recente, che secondo me ci racconta ancora di più di questa rivoluzione. È il 2 dicembre 2017. Si sfidano due computer: Stockfish 8 e AlphaZero.

Il primo, campione in carica, si è allenato a giocare a scacchi per 9 anni, riesce a calcolare 70 miliardi di posizioni al secondo; ha accesso a secoli di esperienza umana negli scacchi e decenni di computer. Conosce tutte le strategie e le partite.

Si confronta con l’algoritmo AlphaZero di Google che invece si è allenato per 9 ore giocando con sé stesso, senza nessuna assistenza. Un algoritmo che riesce a calcolare “solo” 80 mila posizioni al secondo, non conosce le strategie, ma solo le regole del gioco. Eppure, AlphaZero batte clamorosamente il suo rivale più potente. Siamo dinnanzi alla prospettiva più estrema del machine learning, quando la macchina per imparare non ha più bisogno dell’uomo. È un nuovo mondo, dove le persone sono superflue? No, probabilmente, ma sicuramente stanno cambiando tutti i paradigmi con cui siamo soliti confrontarci.

Come tutte le innovazioni tecnologiche, in potenza, anche quella che ci riguarda avrebbe una capacità liberatoria per gli individui e le società. La produttività aumenta, si riduce lo sforzo nello svolgimento di molte attività pesanti o routinarie. Si libera il tempo e da questo tempo libero possono fiorire creatività, arte, innovazione. Abbiamo potenzialmente un accesso all’informazione libero e senza limiti. Possiamo essere vicini a persone lontanissime geograficamente, condividendo la nostra quotidianità in modo incredibile. Grazie ai big data possiamo comprendere, studiare e analizzare i fenomeni come non è mai successo nella storia dell’uomo.

Ma c’è l’altra faccia della medaglia. Al di là del potenziale della tecnologia, come sappiamo, è il suo utilizzo che ne determina i risultati. La trasformazione tecnologica sta allora creando polarizzazione delle opportunità e della ricchezza, rischio della perdita di posti di lavoro, diffusione di fake news e teorie senza fondamento, manipolazione economica, politica e sociale, incertezza, decisioni individuali meno razionali ed emotivamente manovrabili ed incapacità generalizzata di assumere consapevolezza verso questo processo di trasformazione che la maggioranza delle persone sta semplicemente subendo, senza potervi o sapervi partecipare.

L’ascesa degli algoritmi sta indirizzando le nostre vite, e sta consolidando un nuovo modello di business che si fonda sull’acquisizione sistematica di moltissime informazioni comportamentali, non tanto finalizzata a generare valore per le persone, ma, soprattutto, per consentire a terze parti di acquisire valore, vendendo i propri prodotti o ottenendo vantaggi senza che gli interessati possano accorgersene o reagire in modo efficace. Il successo di questo modello di business spinge le imprese a “digitalizzare” le esperienze individuali in tutti gli ambiti della propria vita, al fine di acquisire informazioni, dati, la materia prima di questo processo di sviluppo.

Sono evidenti anche gli impatti sulla vita sociale e democratica. La capacità di indirizzare le scelte, parallelamente alla sistematica polarizzazione delle opinioni e delle idee, conseguenza delle dinamiche delle relazioni sociali, sempre più mediate dai social network e dai motori di ricerca, dove gli individui traggono buona parte dei contenuti e delle esperienze alla base delle proprie decisioni.

Solo la consapevolezza di questo processo può aiutare le persone a governare il cambiamento e riconquistare l’autonomia (ho avuto modo di accennare alla questione qualche tempo fa, a margine della riflessione sulle potenzialità del Metaverso).

Futuro del lavoro, lavoro del futuro

La rivoluzione in atto sta anche trasformando il mondo del lavoro, aumentando l’obsolescenza delle competenze e delle professioni. Le macchine tendono a sostituire via via l’uomo non solo in attività ripetitive ma anche in processi di analisi e talvolta decisionali, mentre vengono valorizzate le competenze connesse con la creatività, il pensiero laterale, la capacità empatica, relazionale e comunicativa, le valutazioni etiche.

Qualche tempo fa ne parlavo in un articolo, riflettendo sul fenomeno delle “Grandi Dimissioni”.

Quello che emerge, comunque, è che le organizzazioni ed i sistemi scolastici non stiano favorendo in modo decisivo l’emergere delle competenze necessarie a questo nuovo scenario, spesso ostinandosi a replicare modelli che conoscono, ma che nel nuovo contesto sono, semplicemente, controproducenti.

L’Organizzazione che cambia

Costruire le, cosiddette, soft skills, è una necessità. Per realizzarle, la letteratura ci insegna in modo abbasta univoco che c’è bisogno di quattro cose, tra loro collegate: la motivazione intrinseca (che viene cioè dal piacere di fare qualcosa e non da sollecitazioni esterne) l’autonomia (quando, come e con chi svolgere un’attività), la piena competenza tecnica (senza hard skills l’autonomia è vuota), il coinvolgimento pieno e completo nella missione dell’organizzazione.

La sfida delle organizzazioni è superare il modello tradizionale (tutto costruito su incentivi che favoriscono la motivazione estrinseca e uccidono quella intrinseca, premiano il rispetto delle regole e delle procedure e si preoccupano delle performance e non sempre di come sono realizzate), verso una percezione più “umanocentrica” del lavoro. Le organizzazioni devono essere fluide e flessibili, riconoscendo quelle competenze – tra digitali e trasversali – che ridefiniscono il modo di lavorare, favorendo la comprensione della mission organizzativa in un contesto più ampio delle mura dell’azienda (qui una riflessione sul punto).

Rivoluzione nella scuola: creatività al servizio del futuro

La scuola è l’altra protagonista di questa rivoluzione. Abbiamo bisogno di un nuovo progetto didattico, che sappia mettere ogni ragazzo al centro del sistema educativo. La sfida è creare un modello esperienziale e multidisciplinare in grado di stimolare e coinvolgere gli studenti, aiutarli a trovare le proprie passioni, comprendere che la formazione non è un insieme di “compiti” da imparare a svolgere, ma un percorso di riconoscimento della propria identità e del proprio “posto” nel mondo.

Una scuola che sia orientata a tre principali finalità: futura indipendenza economica (consentire di trovare, nel nuovo contesto, un lavoro che valorizzi i talenti, permetta di vivere serenamente la propria vita, assicurando al sistema produttivo l’eccellenza e la creatività necessaria per acquisire nuova competitività); socialità (diventare cittadini attivi ed empatici, conoscere e apprezzare la propria cultura, comprendere e rispettare quella degli altri); equilibrio personale (sapersi relazionarsi con il proprio mondo interiore ed esteriore, curare la propria personale ricerca psicologica e spirituale). Un set di competenze (hard e soft) che consenta loro di essere preparati, critici e informati, coscienti di sé e del mondo in cui operano.

Sappiamo che ogni persona è diversa ed apprende in modo peculiare. La tecnologia favorisce la personalizzazione efficace dell’apprendimento (cosa impensabile in precedenza) e questa è un’opportunità che va sfruttata. Mai come ora, questa rivoluzione è possibile. Ma al centro deve rimanere la persona, il ragazzo, la sua umanità. La tecnologia è uno strumento.

Ultimamente mi sto occupando anche di Metaverso, connesso con l’insegnamento. È un terreno nuovo, su cui sta nascendo un business. Ma è importante che questo processo non sia trainato dallo sviluppo tecnologico, piuttosto dal ruolo che lo strumento ha nel progetto educativo: deve creare valore aggiunto nell’apprendimento. Altrimenti, sarà l’ennesima opportunità non sfruttata, come è avvenuto con la didattica a distanza, il cui valore non è stato colto e la tecnologia è diventata un limite alla relazione e allo sviluppo individuale e non uno strumento di accelerazione e personalizzazione del processo formativo.

In conclusione

Il senso di questa riflessione è che la rivoluzione digitale è soprattutto una rivoluzione umana e sociale, una grande opportunità di riscoprire la propria coscienza ed il proprio processo decisionale. Una grande opportunità di miglioramento e progresso.

Dobbiamo far sì che il cambiamento non sia forzato o guidato dal ritmo incessante dello sviluppo tecnologico, ma sia orientato e ripensato a partire da una profonda riflessione e un’innovazione, in primis, del nostro pensiero, in grado di condurci ad utilizzare la tecnologia per renderci decisori migliori e più razionali. Perché, se non ci conosciamo o non sappiamo dove vogliamo andare, sarà qualcun altro, anche sfruttando la tecnologia, a decidere dove condurci.

E, poi d’altronde, questa è la scommessa da vincere subito, per non restare nell’incoscienza digitale.

#(In)CoscienzaDigitale

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Originariamente pubblicato su Linkedin

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