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Roma, 21 settembre 2023 – Nel Mondadori Bookstore di Libreria Via Piave, si è tenuto l’incontro “Un anno di (In)Coscienza Digitale. Cosa resta del futuro di ieri per le persone e le organizzazioni”.

Pubblicato nel settembre 2022, il libro “(In)Coscienza digitale. La risposta alla rivoluzione digitale tra innovazione, sorveglianza e postdemocrazia” di Michele Petrocelli, edito da Lastarìa, ha esplorato l’impatto della rivoluzione digitale sulla politica, sull’economia e sulla società. Ma l’evoluzione digitale è sempre in corsa e pone costantemente nuove sfide. A che punto siamo oggi con il cambiamento? Come evolve il futuro del lavoro? E quali sono le influenze nella Pubblica Amministrazione? Ne abbiamo parlato con l’autore, in un’intervista doppia con Gianni Dominici, Amministratore Delegato di FPA-ForumPA.

Redazione

“(In)Coscienza Digitale” compie un anno. Ma prima di capire dove siamo oggi, un breve passo indietro per capire da dove siamo partiti

«Questo libro nasce da una ricerca universitaria mirata ad analizzare gli impatti che la quarta rivoluzione industriale e la rivoluzione digitale hanno su di noi», introduce Michele Petrocelli. Se in un primo momento il libro ha tutte le caratteristiche di un volume di ricerca, indirizzato principalmente a chi studia la materia, in breve tempo cambia volto diventando una guida adatta a tutti per orientarsi tra le pieghe del profondo cambiamento in atto. «Mi sono reso conto che questo tema ci riguarda da vicino e coinvolge le sfere della nostra vita nella loro interezza – continua Petrocelli – Ho deciso, quindi, di riscriverlo completamente in una chiave divulgativa, pur mantenendo l’impianto bibliografico di riferimento scientifico». Dalla sua pubblicazione nel settembre 2022, è così partito un lungo viaggio che ha visto “(In)Coscienza Digitale” protagonista di confronti e dibattiti volti ad analizzare e comprendere meglio l’argomento, perché se è vero che la tecnologia è uno strumento potente, è anche vero che lo è solo se sappiamo dove andare, altrimenti sarà lei a guidare la nostra vita.

L’avvento di un nuovo business model basato sui dati. Di che dati parliamo?

«Si tratta di un business model non esattamente nuovo, ad essere precisi, perché ormai esiste da almeno 23 anni. Le informazioni sulle persone, trasformate in dati, sono l’alimentazione a questi sistemi di apprendimento che ci consentono di capire e predire il comportamento degli individui e quindi poterlo indirizzare. Dove arriviamo? A una condizione in cui la tecnologia è integrata totalmente nelle nostre vite e, di conseguenza, i nostri processi decisionali sono sistematicamente, sostanzialmente, influenzati da essa». Da qui entriamo nel fulcro del libro, che porta il lettore a riflettere su come affrontare la trasformazione digitale. Se dividersi nel dualismo tecnologia-buona/tecnologia-cattiva non porta a nulla, sicuramente conoscerla può venirci in aiuto perché l’unico modo che abbiamo di impedire alla tecnologia di prendere il sopravvento è quello di averne coscienza.

Le ripercussioni nel mondo del lavoro

Secondo il Report 2020 del World Economic Forum, preso come riferimento nel libro, se nel 2018 il 17% delle ore lavorate era attribuibile alle persone, e solo il 29% alle macchine, le proiezioni al 2025 stimano che le macchine saranno responsabili del 52% delle ore lavorative complessive. «La disoccupazione tecnologica – spiega l’autore – non è una cosa nuova e gli economisti si dividono in ottimisti e pessimisti sulla questione della sostituzione del lavoro per via dell’innovazione. Certo, oggi l’attenzione al tema è maggiore, perché la durata dell’obsolescenza cambia, i tempi si riducono e si crea una polarizzazione delle opportunità. Quello che però non è da sottovalutare in questo processo è l’importanza delle competenze tipicamente umane, ovvero quelle che girano intorno alla creatività, al pensiero laterale, alla visione, all’etica, alla cultura, alla filosofia, al giudizio morale».

«Io sono figlio di un giornalista – interviene Gianni Dominici, Amministratore Delegato di ForumPA – Quando è arrivata la tecnologia si diceva che sarebbe stata la fine dei giornali e dei giornalisti. In realtà non è accaduto, perché la parte creativa non può essere messa in discussione. Così è adesso. Pensiamo all’intelligenza artificiale, quello che le manca è l’intelligenza intuitiva, qualcosa che va oltre il pensiero logico e sequenziale. Tutto questo è difficile da mettere in discussione».

Intuizione, creatività ed errori. Al netto di come andrà il percorso di evoluzione digitale, esiste uno spazio del tutto umano

«È quella dimensione basata sulla creatività e sull’errore. Noi sappiamo come generare la creatività, siamo consapevoli che la creatività è amica della motivazione intrinseca ed è nemica della motivazione estrinseca. La motivazione estrinseca è quando compio un’azione per ottenere qualcosa in cambio. La motivazione intrinseca è quando faccio qualcosa perché mi piace farla, perché mi diverte, non ne consegue un “premio”. È in questa dimensione che si sviluppa l’innovazione. Tutti noi, però – prosegue Petrocelli – basiamo i nostri sistemi sugli incentivi. In questo modo non si riesce a creare il valore distintivo, anzi, si finisce per competere con le macchine in quella dimensione ripetitiva, di capacità statistica, dove saranno sempre più forti di noi».

Che vuol dire tutto questo nella PA

«Nella Pubblica Amministrazione – spiega Gianni Dominici – si è sicuramente vista un’accelerazione del digitale, soprattutto in conseguenza dell’esperienza drammatica della pandemia che ha fatto capire anche ai più ritrosi che la tecnologia non è un qualcosa di laterale ma è indispensabile per garantire i servizi funzionali ai cittadini e alle imprese. Altro avvenimento recente nella PA è una ritrovata attenzione verso il fattore umano. Si è capito che è difficile cambiare una PA senza portarsi dietro il concetto di empowerment. Citando l’ex Presidente Obama, “Non possiamo affrontare questo futuro con una pubblica amministrazione al passato”. Si parla tanto di attrarre i talenti nella PA, ma attrarli non è sufficiente se poi non si dà loro il giusto spazio per operare e li si valuta esclusivamente sul perseguimento delle procedure. L’innovazione, non mi stanco di ripeterlo, è una disubbidienza riuscita. L’innovatore è un disubbidiente, ma il disubbidiente viene punito perché non rispetta la procedura. Invece, abbiamo bisogno di una PA in grado di accogliere innovatori».

Nel frattempo, è passato un anno. Quante cose sono cambiate?

“(In)Coscienza Digitale” ha messo in evidenza elementi che un anno fa erano assolutamente disruptive e, sebbene non si possano dire superati, sicuramente si sono sviluppati. Nel libro c’è un capitolo dedicato al Metaverso, qualche accenno all’Intelligenza Artificiale, ma in un anno la strada è proseguita, tanto che oggi si parla di Intelligenza Generativa. Secondo uno studio condotto da “OpenAI”, l’AI Generativa potrebbe esporre ad automazione l’equivalente di 300 milioni di posti di lavoro a tempo pieno. Un dato che può suscitare preoccupazione. «L’AI Generativa – commenta l’autore – è la capacità dell’intelligenza artificiale di generare un contenuto e sta avendo un suo sviluppo, una sua autonomia ma ad oggi non può dirsi matura, è ancora in sperimentazione, in innovazione, e quindi particolarmente soggetta all’errore e al fallimento. È chiaro che alcune cose nel tempo verranno sostituite, il progresso tecnologico avrà probabilmente un impatto simile o equivalente a quello che ha avuto in passato, ma molto più accelerato».

Intelligenza Generativa e lavoro. Quali i possibili impatti?

L’Intelligenza Artificiale in generale, e ancor più quella Generativa, partono dai dati. Quindi se è vero che molte professionalità potrebbero scomparire, è anche vero che c’è una parte di lavoro connessa con i dati che probabilmente crescerà perché «ci sarà sempre più bisogno di professionisti in grado di capirli, classificarli, svilupparli, incrociarli, gestirne l’accesso e anche arginare gli errori dell’AI e verificarne gli output». E, quindi, torniamo sull’importanza dell’elemento umano. Se fare una previsione sull’impatto che tutto questo avrà sui posti di lavoro non è così immediato, vale la pena rivolgere l’attenzione su un altro tema, ovvero su quanto e come l’AI cambierà e influenzerà il nostro modo di organizzare il lavoro, apportando sicuramente importanti facilitazioni.
«Il processo di digitalizzazione sicuramente induce un’evoluzione positiva dei servizi offerti ai cittadini, grazie anche all’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. Anche qui, al centro, il tema dei dati. Nel libro del professor Petrocelli – interviene Dominici – viene messa bene in evidenza l’importanza della qualità del dato per il ruolo della Pubblica Amministrazione. Sia l’Intelligenza Artificiale, sia quella umana, hanno bisogno del dato certo, è questa la sfida: la conoscenza, presupposto per garantire la qualità del dato».

Parlando di lavoro, non possiamo non parlare di competenze

Il report 2023 del World Economic Forum espone le competenze maggiormente richieste in questo momento: pensiero analitico, pensiero creativo, resilienza, flessibilità e agilità. Tutto sembra suggerire che stiamo andando verso il potenziamento delle cosiddette Soft Skills. L’Intelligenza Generativa sta entrando a far parte dei nostri strumenti di lavoro, il ché porta a riflettere sulle competenze da potenziare per riuscire a capirla e gestirla. «Le Soft Skills – spiega il professor Petrocelli – hanno senso solo se si basano sulle Hard Skills. Le due cose vanno costruite e sviluppate insieme. E qui torniamo sul tema della motivazione intrinseca. Quello che sappiamo è che servono almeno tre elementi per generarla: l’autonomia nel saper fare il proprio compito; la mastery, ossia l’avere padronanza di un determinato argomento; lo scopo del proprio lavoro. Questa unione fa sì che noi non dobbiamo insegnare le competenze fine a sé stesse, almeno questa è la mia idea, ma dobbiamo usare le Soft Skills all’interno dell’apprendimento delle Hard Skills. Oggi non possiamo più dividere il corso della nostra vita in un primo momento di studio e in una seconda fase di lavoro: le competenze hanno un’obsolescenza velocissima perché legate a doppio filo con la frequenza dell’innovazione; quindi, vanno modificate, fatte crescere, per adattare la nostra professionalità alla nuova struttura che si va delineando».

L’insegnamento non esiste

«Se io sono in un’aula e parlo, tutto quello che sto facendo è esattamente questo: parlare. Perché io insegni, chi ascolta dall’altra parte deve apprendere. Dunque, è inutile chiedersi come si insegna, piuttosto domandiamoci come si apprende. Siamo tutti diversi, anche nell’apprendimento, e la tecnologia può venirci in aiuto perché consente di personalizzare il servizio con contenuti e modalità differenti. Tutto questo vale non solo per la scuola, ma anche per il lavoro, basato sul modello sempre più diffuso dello smart working. Sebbene questo sia diventato la normalità, dobbiamo ancora cercare di farlo funzionare nel modo giusto. Bisogna ripensare le attività e dividerle adeguatamente tra quelle che si possono fare in completa autonomia e quelle che si possono svolgere da casa avendo a supporto gli odierni strumenti di condivisione per lavorare insieme ai colleghi quando necessario, senza dimenticare il bisogno fondamentale, che tuttora persiste, di trovare uno spazio di contatto fisico».

Il ruolo della PA e il potenziamento delle cosiddette competenze trasversali

In una Pubblica Amministrazione come quella italiana, basata sulla logica dell’adempimento e della procedura da seguire, alla luce dei nuovi modelli di lavoro che si stanno delineando, c’è sicuramente qualcosa da cambiare. «Pensiero creativo e problem solving creativo. Bisogna andare oltre la cultura amministrativa, il dipendente pubblico deve essere valutato non per la procedura ma per come riesce a gestire progetti complessi che si trova e continuerà a trovarsi davanti. Dobbiamo immaginarci una PA in grado di gestire il futuro, di valorizzare anche il pensiero divergente, il pensiero laterale, di cui Michele parla abbondantemente nel suo libro. Bisogna costruire quella sicurezza psicologica che porta il pensiero divergente ad emergere. E a questo collego il tema del recruitment – prosegue Dominici – anche questo affrontato nel libro, e chiedo: stiamo assumendo le persone giuste? In base a quali parametri? Individuare il ‘talento ribelle’ non è semplice, soprattutto con gli attuali sistemi di assunzione. La sfida è tutta in questo percorso e la PA può fare tanto, soprattutto in questo momento in cui ha un ruolo da protagonista perché destinataria di interventi importanti».

Che cosa si intende per governo post digitale e quali sono le prospettive?

«La tecnologia, la digitalizzazione, i dati, abbiamo già tutto questo. Quello su cui ora bisogna concentrarsi è il post digitale, riflettendo principalmente su cosa significa digitalizzare, cosa significa per la PA, perché lo facciamo, quale valore creiamo. Partendo dai dati in nostro possesso, bisogna implementare la capacità di utilizzarli non solo per progettare meglio i servizi, ma addirittura per anticipare i bisogni delle persone. Sono cose che la tecnologia ci consente di fare.
Su molti aspetti la tecnologia è matura, quello che manca è una cultura dell’innovazione e dell’utilizzo della digitalizzazione. Per creare valore, ho a disposizione i dati e la loro interoperabilità, un enorme patrimonio che ad oggi non siamo ancora in grado di rendere completamente funzionale.

La PA post digitale deve sapere utilizzare la tecnologia, questo è un fattore determinante per governare il cambiamento in atto».

Parole-chiave per descrivere il senso dell’incontro

Competenze, Connettività e Collaborazioni. «Dopo la Seconda Guerra Mondiale – spiega Gianni Dominici – si è basata la ricostruzione su tre ‘C’: casa, capannone, campanile. Su questo, la micro-imprenditoria italiana ha fatto crescere il nostro Paese fino a renderlo una grande potenza industriale. Io credo che adesso dobbiamo prendere e trasformare quelle tre ‘C’ come segue: Competenze, Connettività e Collaborazioni. Sono queste le tre parole che, secondo me, dovrebbero ispirare e sintetizzare la gestione del futuro, basata, appunto, sulla collaborazione, sulla connettività, non solo tecnologica, e sulle competenze».

Responsabilità, responsabilità e responsabilità. «Responsabilità di prendere questa sfida digitale, capire che ci riguarda e che non dobbiamo essere passivi, in attesa che sia la regolamentazione a dirci cosa fare e non fare; la responsabilità di capire la coscienza digitale, di capire come impatta e, nell’ambito del nostro lavoro, di saper evolvere; la responsabilità verso gli altri e quindi, che siamo responsabili d’impresa, consulenti, manager, colleghi, genitori, insegnanti, la responsabilità nel cercare di spingere gli altri a capire questa trasformazione e indirizzarla per creare valore, anche e soprattutto per noi stessi», conclude Michele Petrocelli.

Dai un’occhiata a com’è andata:

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